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La dimostrazione dell’ovvio

La continua esposizione e riproduzione sui social network di post, commenti, notizie che ci sembrano ovvie, banali e scontate ci fa interrogare sul modo in cui sta cambiando la condivisione delle conoscenze scientifiche e la percezione della verità. Oltre ad essere legato all’ormai famoso fenomeno della filter bubble (le comunità digitali di ognuno di noi che tendono a riproporre contenuti affini ai nostri interessi e non sempre basate sui fatti), la proliferazione dell’ovvio racchiude in sé diversi aspetti legati al nostro modo di conoscere sé stessi e gli altri.

Innanzitutto, rifiutare in blocco la banalità e declassarla a mera stupidaggine non sempre è utile a comprendere quali sono gli aspetti realistici di quella notizia ovvia e, se volessimo scavare più in profondità, a capire quali sono i processi psicologici e sociali che portano alla proliferazione dell’ovvietà. Tale diffusione, proprio perché costituita dal dato per scontato (da ciò che non si avverte), è infatti il punto di partenza per la costruzione di una supposta normalità socialmente accettata che, in realtà, spesso nasconde contraddizioni e discriminazioni.

In questo senso, l’opacità e la rassicurazione insita nell’ovvio influenza, più di quello che si crede, la nostra visione del mondo, le nostre decisioni e il nostro relazionarci all’altro. Un esempio può essere tratto dagli interrogativi del sociologo Zerubavel nel suo libro Dato per scontato. La costruzione sociale dell’ovvietà: perché si utilizza spesso l’espressione “dichiaratamente gay” e non l’equivalente “apertamente etero”? Le locuzioni come “donna in carriera” o “infermiere maschio” su quali assunti sociali si basano? Questi interrogativi sono un invito a riflettere su tutti quei fatti, espressioni, pensieri presi per buoni senza renderci conto che riproducono pregiudizi o visioni parziali della realtà.

In più, da una prospettiva psicologica, la saturazione delle nostre comunità digitali provocata dalla condivisione di notizie banali e scontante (talvolta infondate) può essere ricondotta ad una distorsione cognitiva, conosciuta come “effetto Dunning-Kruger”, dal nome dei due psicologici che l’hanno scoperta e approfondita in diversi esperimenti.

L’effetto Dunning-Kruger consiste nella tendenza delle persone poco esperte a credere di avere una competenza maggiore rispetto a quella reale e, quindi, a pensare di potersela cavare nonostante la propria ignoranza e competenza. In altri termini, l’incompetenza stessa impedisce di vedere in sé le proprie lacune conoscitive, sovrastimando il proprio bagaglio culturale.

Questa tendenza è l’origine cognitiva del moltiplicarsi delle ovvietà digitali: le persone con poche competenze condividono, commentano, giudicano i più disparati argomenti senza accorgersi di stare esprimendo banalità, pregiudizi e pseudo-conoscenze, molto spesso errate. Un altro aspetto complementare è costituito dal bias della retrospezione, ovvero la tendenza ad esagerare, dopo che si è verificato un evento o conosciuto qualcosa, la propria abilità nell’averlo previsto o la propria conoscenza pregressa. Noto anche come “fenomeno io-lo-so-da- sempre”, questo bias è particolarmente attivo nei nostri comportamenti digitali e può essere dannoso perché fa sembrare le conseguenze degli eventi semplicemente predicibili e, di conseguenza, porta a commettere errori di comprensione, d’interpretazione e comportamentali.

In tal senso, leggendo superficialmente post o notizie che ci sembrano scontate potremmo giudicarle ovvie e pensare che siano informazioni che già avevamo, quando in realtà questa illusione di conoscenza dipende tanto dall’effetto Dunning-Kruger (“conosco più cose di quelle che conosco davvero”), quanto dall’effetto della retrospezione (“già lo conoscevo”).

Dagli aspetti messi in evidenza, si può vedere come la dimostrazione dell’ovvio, intesa come ricondivisione e riproduzione di contenti banali e dati per scontati, è tutt’altro che ovvia: dal vertice sociologico le ovvietà nascondono significati accettati acriticamente e spesso discriminanti, portano a farci percepire che esiste una normalità definibile generalmente; dal vertice psicologico, tutto ciò che ci sembra ovvio non sempre è tale, ma può essere il risultato di trappole cognitive ed emotive che ci spingono a sopravvalutare la nostra conoscenza.

Riferimenti bibliografici

Myers D. G. (2013). Psicologia sociale, McGraw Hill, Milano.

Kruger J., Dunning D. (1999), Unskilled and Unaware of It: How Difficulties in Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated Self-Assessments, in Journal of Personality and Social Psychology, vol. 77, n. 6, 1999, pp. 1121-1134.

Zerubavel E. (2019), Dato per scontato. La costruzione sociale dell’ovvietà, Meltemi editore, Sesto San Giovanni.

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